LA
VIA DEL SALE
testo di Marco Zecchinelli
PROLOGO
Sabato, 4 febbraio 2006, ore 13.00
Vignale, provincia di Alessandria, Ristorante Universo.
Neve sui colli del Monferrato.
Sei commensali ed alcune bottiglie di Barbera.
Un uomo di marketing chiede :
Che ne direste se con la bella stagione...
LA VIA DEL SALE
Giovedì, 22 giugno 2006, ore 17.45
Un ingegnere, luomo di marketing e il narratore sono seduti
in un salotto
di
Milano; pochi secondi dopo, lItalia segna il 2-0 contro la
Repubblica Ceca
e si qualifica agli ottavi di finale. Finalmente si parte : la
Via del Sale!
Ci fa da tassista la donna dellingegnere, che ritornerà a
Milano con lauto
stasera e, speriamo, ci recupererà fra tre giorni in qualche
località
imprecisata sulla riviera ligure. Dopo lunghe peregrinazioni nellOltrepò
Pavese, dovute allimperizia del conducente (lingegnere)
e del navigatore
(luomo di marketing), finalmente superiamo Varzi e
raggiungiamo lhotel da
dove partiremo domani mattina, a Castellaro di Varzi (m 745 slm).
Ma basta fare un giro del paese, quattro case in croce, per
perdere l
orientamento e finire molto al di sotto di dove pensavamo di
ritrovarci: se
il buon giorno si vede dal mattino, questa è la buona notte al
nostro
viaggio!
Ore 22.00
E lora del digestivo. Speriamo che funzioni: tagliere
di salumi vari come
antipasto, agnolotti al brasato, stracotto dasino, spalla
al forno, patate
arrosto, tagliere di formaggi
E chi parte domani mattina
con tutta questa
roba sullo stomaco? Lingegnere e luomo di marketing
versano in condizioni
preoccupanti. Rifiutano i bis di cibo, e conoscendoli è un
pessimo segnale
sulla loro forma fisica; sembrano provati anche dal vino della
casa.
Lunica cosa che ci rinfranca è ritrovarci tutti insieme,
fuori dallhotel,
allinizio del sentiero che imboccheremo domani: è luna
nuova, ma le stelle
sono così numerose e lucenti che sembra quasi giorno. Intorno a
noi
lampeggiano le lucciole, il silenzio è rotto solo da alcune voci
attutite
provenienti dalla veranda dellalbergo; laria è
fresca e sembra proprio
invitare a partire subito, senza indugi. Ce ne andiamo a letto
che è quasi
mezzanotte, contenti di essere qui.
Venerdì, 23 giugno 2006, ore 7.45
Siamo partiti da appena un quarto dora e sudiamo come
dannati, fingendo una
freschezza che non abbiamo (tranne forse luomo di
marketing, pochi metri
davanti a noi). La salita è ripida, e ben presto diventa chiaro
che tre
giorni così non saranno lallegra scampagnata che mi ero
immaginato. Mi
faccio anche male alla mano destra, cercando di scorticare un
ramo caduto da
usare come bastone dappoggio. La prima bottiglia dacqua
è già a metà, se
continuassi a bere a questo ritmo per lora di pranzo avrei
già esaurito la
scorta che ho nello zaino!
Stoicamente, tiremm innanz
Ore 09.00
Incredibile, siamo al primo rifugio sul monte Boglieglio (m 1350
slm), e da
qui la faccenda (almeno per oggi) diventa decisamente più
facile! Una breve
sosta, una visita allinterno, e qualche foto dei dintorni:
abbiamo
sorpassato, qualche centinaio di metri fa, un formicaio enorme,
alto quasi
un metro e mezzo e fatto interamente di aghi di pino ammucchiati
uno sull
altro. Qui il paesaggio cambia, finisce il bosco e cominciano dei
bellissimi
prati, lunico problema sarà la mancanza dombra
mentre seguiamo il crinale
che separa la Lombardia (provincia di Pavia) dal Piemonte
(provincia di
Alessandria).
Ore 12.00
Che incontro meraviglioso, dei cavalli al pascolo che cercano lombra
sotto
le fronde di un boschetto! Lingegnere si avvicina per
scattare qualche
foto, e lo avviso di non farli imbizzarrire: troppo tardi, da
dietro gli
alberi esce un gruppo di stalloni infuriati, tra cui il capo del
branco, che
al gran galoppo sbuffa dalle narici tutto il suo nervosismo.
In fretta e furia, per quanto ce lo concedano gli zaini, la
stanchezza e il
filo spinato, cerchiamo di passare oltre la staccionata, mentre i
cavalli si
avvicinano a poche decine di metri, con gli zoccoli pronti a dar
battaglia.
Alla fine, vista anche la nostra imperizia, i destrieri si
accorgono di
avere a che fare con tre buffi individui più che con dei ladri
di cavalli, e
ci lasciano passare al di là della staccionata nel giro di
qualche minuto:
sembravamo una scenetta di Aldo, Giovanni e Giacomo!
Rientriamo molto più avanti sul sentiero, quando pensiamo di
aver messo
abbastanza spazio tra noi e loro: ovviamente, giusto in tempo per
finire
proprio a pochi metri da un altro branco di cavalli, che però ci
osservano
senza fare una piega. Anche perché, quando ci accorgiamo di loro
acceleriamo
improvvisamente landatura, rimaniamo in religioso silenzio
e in pochi
secondi li abbiamo già superati.
Ore 12.30
Lassù sul monte Chiappo (m 1700 slm) cè il secondo
rifugio, ma quanto è
duro arrivarci! Luomo di marketing è sempre qualche decina
di metri più
avanti di me e dellingegnere, ma non è questo il punto. Il
punto è che fa
un caldo sempre peggiore, e lultima salita è più ripida
che mai.
Arriviamo in cima mezzi disidratati, e anche trascinarsi dal
rifugio fino al
cippo che segnala il confine fra tre regioni (Piemonte, Lombardia
ed Emilia
Romagna) sembra unimpresa eroica. Ma è proprio lì che
finalmente pranziamo
come si deve, ci stendiamo con la testa sugli zaini e cerchiamo
di riposare
mentre decine di mosche, moscerini e altri insetti decidono di
ronzare
intorno e addosso ai nostri corpi sudati e affaticati.
Ovviamente, dopo una
foto ricordo in cui ognuno di noi prende metaforicamente possesso
di una
regione: lingegnere originario di Alessandria in Piemonte,
luomo di
marketing meneghino in Lombardia, e il sottoscritto terrone nella
zona dall
Emilia Romagna in giù.
Ore 20.30
Poco lontano dal punto di confine cera la fine della nostra
prima tappa.
Perciò con molta calma abbiamo recuperato le forze, salutato la
Lombardia, e
solo allinizio del pomeriggio abbiamo raggiunto lhotel
a Capanne di Cosola
(m 1500 slm), dove ci siamo riposati ancora, giocando a un gioco
da tavola
tutti insieme, leggendo, dormendo, e infine mettendoci a cena. Se
possibile,
stiamo mangiando quasi di più di ieri: bis di primi, con ravioli
di patate
al burro e salvia e agnolotti al sugo darrosto (comuni per
tutti), poi
cotoletta valdostana per me e lingegnere, mentre luomo
di marketing si
butta voracemente su una scaloppina al vino bianco; a chiudere,
bis di dolci
di nuovo per me e lingegnere, mentre luomo di
marketing insiste testardo
sul suo unico dessert, un semifreddo al torroncino.
Andiamo a letto convinti che, se siamo stati così bravi oggi, il
resto sarà
(quasi) una passeggiata. Ci siamo anche beccati i complimenti del
ragazzo
che ci serve, secondo cui generalmente le persone che fanno il
nostro
percorso arrivano in hotel almeno unora e mezzo dopo il
nostro orario.
Ma ancora non abbiamo chiaro il percorso che ci aspetta domani.
Sabato, 24 giugno 2006, ore 9.45
Molto meglio di ieri, pensiamo. Questa mattina si rivela
abbastanza
semplice, camminando sul crinale tra la provincia di Alessandria
a destra e
quella di Piacenza a sinistra. Sembra impossibile perdere il
sentiero, che
passa proprio di fianco a una staccionata e sulla cresta dei
monti, ma ci
riusciamo lo stesso. Abbagliati da quanto riporta il nostro
itinerario, ci
facciamo convincere a seguire una carrozzabile, che però non
solo non è
quella indicata dalla nostra guida, ma non finisce mai,
costringendoci ad
aggirare il monte Rondino e il monte Carmo invece di continuare a
seguire il
loro profilo.
Con il risultato di arrivare allintermedio completamente
stravolti.
Stanchi, sudati, accaldatissimi e con unabbondante razione
di sole in più
del previsto. Ci sdraiamo, finalmente allombra, per un
primo spuntino dolce
per recuperare gli zuccheri e ingurgitare liquidi. Da adesso in
poi ci
lasciamo alle spalle anche lEmilia, siamo già al confine
tra la provincia d
Alessandria e quella di Genova, e dopo pranzo dovremmo
raggiungere
finalmente linizio del percorso in territorio ligure.
ore 12
Cominciamo a scendere verso Capanne di Carrèga (m 1370 slm) lunica
frazione
abitata che vedremo oggi, prima del nostro arrivo stasera a
Torriglia. Chi
si preoccupa dei dislivelli in salita, evidentemente non ha mai
provato a
scendere da una collina. Le ginocchia bestemmiano, le caviglie
pure e la
schiena, tirata indietro dal peso dello zaino, continua a
maledire ogni
cambio di vestiario che hai deciso di portare nel tuo bagaglio.
Quando arriviamo in fondo, davanti a una bottiglia dacqua
comprata nell
unico bar-ristorante della zona mangiamo uno dei due panini
preparati
stamattina dallhotel. Ma al momento di ripartire, lingegnere
e luomo di
marketing distanziano nettamente il narratore.
Ogni passo diventa di piombo, percorrere trecento metri sulla
strada
asfaltata in leggera salita mi sembra un impegno sovrumano.
Quando
finalmente torno in vista delle loro chiappe, stiamo già
seguendo da un
pezzo il sentiero che, attraverso alcune vette, ci condurrà al
secondo
rifugio e al momento in cui potremo di nuovo mangiare e bere con
un momento
di calma: ormai siamo in prossimità del monte Antola (m 1590
slm).
Continuiamo a passare sotto cascate di gialli maggiociondoli, e lunica
soddisfazione che ho è di indossare scarpe alte e pantaloni
lunghi, ideali
contro rovi e piante dortica: vedo le gambe piene di graffi
e bolle degli
altri, e ringrazio il cielo di aver preferito un abbigliamento
più coperto.
Ogni tanto però le pendici del monte sembrano un giardino
botanico, con
fiori multicolori ai lati del sentiero.
Ma prima di arrivare rischio seriamente un collasso da fatica. Mi
salva l
uomo di marketing, che (con tono che non ammette replica) mi
ordina di
assumere immediatamente degli zuccheri. Recupero velocemente un
po di
energia e quando arriviamo al rifugio stramazzo appena dopo
essermi tolto
gli spallacci dello zaino. Finalmente un po di ristoro per
la schiena e per
i piedi!!! Intorno a noi, per qualche centinaio di metri
prima e dopo il
rifugio (chiuso e abbandonato da anni) è pieno di paesani dei
dintorni con
le famiglie, in escursione da weekend e tenuta da gitanti: gli
ultimi che
incontriamo hanno con sé una nonna, una neonata, un cane e un
frigo
portatile!
ore 14
Per fortuna, pensiamo dimenticandoci della breve discesa di
questa mattina,
dal rifugio fino alla fine della tappa dovremmo prima mantenere
la quota e
poi scendere velocemente a valle.
Ma scendere velocemente vuol dire che la ripidezza del sentiero
ci farà
pentire di avere ancora sensibilità nelle gambe e soprattutto
sotto i piedi.
Dopo unultima visione del lago di Brugneto, infatti,
superato un breve
passaggio sul fianco della montagna, avvistiamo la nostra meta di
oggi: è il
borgo di Torriglia (m 700 slm), in provincia di Genova. A
questo punto, chi
ci ha preceduti scrivendo le note a nostra disposizione, avvisa
che la
strada sembra conclusa, ma che non bisogna lasciarsi trarre in
inganno. Lo
capiamo dopo pochi metri della mulattiera che serpeggia lungo il
costone: ci
distrugge letteralmente quel poco di forze che abbiamo, e per ben
due volte
sbagliamo strada e perdiamo il sentiero proprio quando crediamo
di essere
alla fine del percorso.
Psicologicamente, perdere il sentiero in vista dellarrivo
è quanto di più
facile possa capitare: ci si distrae, si è convinti di essere
ormai alla
fine, si pensa alla doccia (il cui ordine sorteggiamo con degli
steli derba
di diversa lunghezza, con lingegnere ultimo due volte su
due), e non si
bada più né ai segnavia, né alla mappa.
Allo stesso tempo, le energie spese per percorrere la via
sbagliata, per
accorgersi che non è il sentiero giusto, per ripercorrere i
propri passi e
rintracciare il bivio del sentiero, sono niente al confronto
dello sconforto
che ci prende nel pensare di aver sprecato tempo e fatica. Le
gambe
diventano di ghisa, la mente si rifiuta di tornare indietro,
vorrebbe
procedere avanti, e solo la tenacia e il buon senso delluomo
di marketing
alla fine hanno il sopravvento.
Quando finalmente entriamo in hotel, la voce dellalbergatore
che annuncia
una camera al secondo piano mi sembra la beffa finale. Ma per
fortuna, si
affretta ad aggiungere alla vista della mia smorfia sofferente, cè
l
ascensore! Mentre gli altri salgono le scale con le energie
rimaste, io
spingo felice il pulsante con il numero 2.
ore 20
La doccia e i cerotti contro le vesciche sembravano avere lenito
un po
della stanchezza e dei dolori, tanto che tutti e tre siamo anche
riusciti a
fare un giro del centro del paese: finalmente siamo in Liguria e
tutto è
molto diverso, negli accenti delle persone e nella struttura
delle case, da
quello che ci siamo lasciati dietro solo questa mattina, quando
eravamo
appena oltre il confine fra le tre regioni.
Quando ci sediamo a tavola, perciò, lappetito non ci manca
(e nessuno
poteva aver dei dubbi, al proposito): ci facciamo servire
pansotti alle
noci, trofie al pesto e tre abbondanti focacce al formaggio di
Recco. Io
esagero come al solito, ordinando una meringata della casa che
purtroppo non
è allaltezza del resto della cena. Che trascorre piano,
fra salaci commenti
a mezza bocca sul gradevole servizio al tavolo che ci è toccato
stasera.
Poi non ci resta che dormire e sperare, per lultima tappa,
di riposare
abbastanza. Anche questo locandiere ci ha detto che oggi siamo
stati veloci,
di solito chi gli arriva in albergo ci mette unoretta in
più di noi. Pensa
che domani dovremmo impiegarci circa 9 ore, e ci sentiamo sicuri
di farcela.
Stiamo forse drammaticamente sottovalutando cosa ci aspetta?
Domenica, 25 giugno 2006, ore 10
Siamo in cima! Freschi e riposati, abbiamo affrontato questa
salita al Monte
Lavagnola (m 1115 slm) con una semplicità inaspettata,
nonostante dalle
carte e dal racconto dellalbergatore fosse evidentemente un
dislivello alla
nostra portata.
In vetta incontriamo due anziani alpinisti del luogo, unici
superstiti del
loro vecchio gruppo di otto elementi, che una volta scalavano
pareti ben più
impegnative e che ora fanno queste passeggiate per mantenersi un
po in
salute, godere del panorama e ricordare le imprese compiute. Ci
mostrano,
seguendo la linea dei monti fino allorizzonte, il percorso
che dovremo fare
oggi fino allultimo scollinamento verso il mare. Sembra una
distanza
davvero infinita, ma ci sentiamo ancora pieni di energie.
Qualche energia in meno invece cominciamo a sentircela quando
rispuntiamo
sulla strada asfaltata: prima di rintracciare il punto da cui
prosegue il
sentiero impieghiamo una mezzora di caldo e fatica inutile,
che ci
costringe a una sosta panino. Luomo di marketing se la
prende con me, che
insisto a voler seguire la strada asfaltata: evidentemente sono
duro di
comprendonio, considerato anche quanto successo ieri!
Da qui, si tira dritti fino al paese di SantAlberto (o SantUberto)
a un
paio dore di cammino, che per fortuna dovrebbe rimanere in
quota. E sembra,
dalle nostre carte e dal caldo, che non sarà comunque una
passeggiata: il
percorso è sconsigliato in piena estate, noi siamo a fine giugno
ma abbiamo
beccato i giorni più torridi della stagione e quindi stiamo
procedendo nelle
condizioni peggiori.
ore 13
Per lennesima volta, imprechiamo contro la stanchezza,
soprattutto
psicologica, che ci ha fatto perdere il sentiero, costringendoci
a una
interminabile ultima salita per arrivare al paese. Quando eravamo
ormai in
vista delle prime case, abbiamo sottovalutato lassenza di
segnavia,
ritrovandoci poi divisi e confusi sulla strada da prendere,
proprio mentre
cominciano a cadere le prime gocce di pioggia da qualche nuvola
sopra di
noi. Riporto fedelmente il commento delluomo di marketing:
Soltanto la mia
intelligenza, la mia arguzia e le mie doti sovrannaturali di
orientamento ci
hanno consentito di ritrovare la retta via che, manco a dirlo,
era smarrita
. Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo; ma chi vuole
insultarlo può
mettersi in coda dopo me e lingegnere!
Lunica grande soddisfazione è girarci verso il punto del
Lavagnola da cui
stamattina siamo ripartiti: allorizzonte, lontano come
sembrano lontani i
sogni e gli incubi, vediamo gran parte del percorso compiuto per
arrivare
fin qua. Entriamo finalmente in un bar a SantAlberto , con
un ritardo
impossibile da calcolare, tra deviazioni compiute e soste. Ci
riposiamo, ma
il pensiero è rivolto a come individuare il sentiero più veloce
per la
discesa, visto che da qui sono possibili svariate strade,
completamente
diverse per tempi di marcia e facilità di percorrenza. Per
fortuna al
momento di imboccare il sentiero lingegnere si accorge che
dobbiamo seguire
un segnavia diverso da quello marchiato sul primo sasso della
nostra
direzione, e ci salva da una lunghissima deviazione, che ci
avrebbe condotto
in cima alla Croce Dei Fò senza avvicinarci di un passo al
nostro traguardo
finale: il mare.
ore 17
Mentre lingegnere si cuoce al sole per un buon quarto dora
a guardia degli
zaini, io e luomo di marketing sorseggiamo seduti comodi,
nella penombra
del locale, due capaci bicchieri di the freddo tintinnanti di
ghiaccio.
Ah, avete fatto la via dei mille morti!,
commenta il barista quando gli
raccontiamo il nostro percorso odierno.
Come sarebbe a dire la via dei mille morti? ribatto
io, che ancora ho
presente un paio di vertiginosi strapiombi a una ventina di
centimetri dalla
punta delle mie scarpe.
Sì, lì cè stata una battaglia duecento anni
fa, tra francesi e austriaci,
e ancora si chiama così.
Respiro sollevato, pensando che a un certo punto, se avessimo
conosciuto
prima questo nome, avremmo avuto veramente paura.
Abbiamo passato un brutto momento due ore fa, cupo e teso. Le
nostre note ci
avevano avvisato della scarsa agibilità in alcuni tratti di
questo
itinerario, ma non credevamo che fosse così pericoloso. Per
fortuna mancava
completamente lumidità, il terreno era compatto e sulle
rocce lisce non si
rischiava di scivolare. Diversamente, con uno zaino e diverse ore
di marcia
sulle spalle, non sarebbe stato difficile trovarsi veramente in
pericolo
durante la salita alla sella tra il monte Bado e monte Becco (m
727 slm)
Ma una volta sulla sella, ci siamo sentiti meravigliosamente. Una
targa
recitava Comune di Sori, eravamo già allinterno
della nostra ultima meta,
non avevamo più paura di non farcela! E anche il timore di
prenderci uno
scroscio di pioggia era sparito insieme alle nuvole!
Ma quando siamo arrivati alla terrazza panoramica, da cui avremmo
dovuto
nuovamente orientarci per trovare la strada, eravamo così
stanchi da non
accorgerci nemmeno di avere in vista il traguardo. Il mare era
lì,
sconfinato sotto di noi e oltre gli ultimi colli, ma ce ne siamo
resi conto
solo qualche centinaio di metri dopo, girandoci indietro dalla
strada
asfaltata: Cè una vela, laggiù, quindi quello non
può che essere il mare!
Felici, abbiamo percorso con lentezza, stanchi e accaldati la
lunga discesa
fino al bar, senza preoccuparci di verificare meglio lesistenza
di un
percorso più breve: tra laltro, lasfalto ha una
superficie piana e
compatta, elastica, a cui non ci sentiamo più molto abituati,
faticando
peggio che su un sentiero in ripida salita.
A questora avremmo già dovuto essere a mollo nellacqua,
secondo i calcoli
del nostro albergatore, invece la meta è vicina e lontana allo
stesso tempo:
dobbiamo seguire il sentiero lungo il profilo delle ultime
colline, per poi
scendere vertiginosamente unultima volta.
ore 21
Limpresa è compiuta! Sori, provincia di Genova (m ZERO
slm).Piagati dalle
vesciche sotto i piedi io e lingegnere, con le caviglie
gonfie come meloni
luomo di marketing, siamo abbracciati luno allaltro
per la foto ricordo,
dopo un veloce bagno ristoratore mentre il sole tramonta oltre le
colline di
Genova. Le ultime ore sono state di una sofferenza quasi
indescrivibile.
Prima unultima involontaria deviazione sulla vetta del
monte Cornua (m 680
slm), ovviamente composta da salita e discesa, per la cronica
mancanza di
segnavia lungo i bivi del sentiero. Poi un paio di indicazioni a
dir poco
ottimistiche sui tempi di percorrenza, in mezzo a felci
(particolarmente
amate dallingegnere) e rovi che finora non
avevamo mai visto in numero
così abbondante, come se il sentiero lungo questo tratto fosse
stato
abbandonato e mai più percorso da diversi mesi. Lungo questo
tratto ho preso
per lunghi tratti la testa della marcia, e incitati dalluomo
di marketing
abbiamo cantato qualunque cosa ci venisse in mente, dai cori
improvvisati
come nei marines alle sigle dei cartoni animati giapponesi, dallInno
di
Mameli a Bella ciao, a Sapore di sale. Sembrerà una
stupidaggine, ma sono
convinto che senza quei cori stonati a squarciagola le nostre
energie si
sarebbero esaurite prima e ancora oggi vagheremmo dispersi tra il
Cornua e
il mare.
Infine, la discesa dalla cappella di SantUberto (un altro,
non quello di
stamattina) da cui si vede per lultima volta il panorama
sul promontorio di
Portofino, fino alla riva da cui il sale iniziava il suo viaggio:
unimpresa
che ci è costata da sola un supplemento di energie
incalcolabile, un tempo
apparentemente infinito, e la disgregazione del gruppo in vista
del
traguardo finale.
Ognuno nel tratto finale era solo con il proprio dolore fisico e
la propria
forza di volontà: quando sono arrivato per primo allappuntamento
con Elena,
in auto, e gli altri erano appena giunti sui ciottoli in riva al
mare, mi è
stato impossibile accettare un passaggio. Gli ultimi metri, come
tutti gli
altri, andavano percorsi, rigorosamente e fanaticamente a piedi,
come sa
chiunque abbia provato a marciare con una meta in testa per più
di un paio
di giorni: ci avessi messo tutta la notte, non era importante.
Quel che
contava era piantare il mio bastone in mare, a qualunque costo,
anche se non
eravamo riusciti a evitare quasi quattro ore di ritardo sul
previsto.
Ora siamo al ristorante, a pochi metri dalla riva. Ogni passo è
una
sofferenza, anche lappetito sembra averci abbandonato,
mangiamo perché
sappiamo di dover reintegrare le energie spese, ma gli unici
desideri sono
un letto su cui dormire e una giornata di riposo. E il
momento dellultimo
brindisi, poi si torna a casa. Ma è ancora luomo di
marketing a gettare lì
lamo, sergente di ferro come è stato in questi tre giorni:
Che ne dite di
riprovare lanno prossimo su un altro sentiero?. Lingegnere
e il
narratore, avventandosi sugli ultimi spaghetti con le vongole
rispondono
concordi: Si vedrà, pensa a mangiare.
FINE
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