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DA CAPE TRIBULATION A COOKTOWN

LUNGO LA BLOOMFIELD TRACK E RITORNO

 

QLD,AUSTRALIA - agosto '02

 

 
Piove da quasi tre giorni e continuano a frullarmi in mente le frasi lette
di sfuggita in quella libreria a Sydney : "Dopo una forte pioggia la
Bloomfield Track è impercorribile anche da mezzi a quattro ruote motrici,
anzi, molto spesso è impercorribile anche dopo una minima pioggia."
 
La costruzione della pista è stata oggetto di fortissime e sacrosante
contestazioni da parte degli ambientalisti in quanto taglia, come una
ferita, ampie porzione di foresta vergine pluviale inclusa dall'Unesco nel
patrimonio mondiale dell'umanità.
Lo scopo principale della strada è quello di accorciare di un centinaio di
chilometri la distanza tra Cairns e Cooktown e con questo consentire un più
agevole sviluppo turistico della Cook Shire rendendola piu' accessibile,
oltretutto attraverso un perscorso di rara bellezza.
 
La sera prima di partire ci intratteniamo a fare due chiacchere con un paio
di amici e con altrettanti bandicut i quali, puntuali, si presentano dopo
cena per vedere di rimediarre qualche briciola, mentre, normalmente,
rimediano almeno un paio di istantanee : la pancia rimane vuota, ma la
gloria è salva.
 
Il bandicut è delle dimensioni di una pantegana, alla quale è accumunato dal
colore e da molti tratti somatici, tuttavia la presenza di un
australianissimo marsupio lo rende accettabile ai piu' e, in termini
generali, un animale simpatico.
 
Andiamo a dormire ed il mio sonno è accompagnato da immagini di auto
accortocciate in fondo a burroni sepolte da tonnellate di acqua e fango,
gironi di avvoltoi e coccodrilli ansiosi.
 
Ore 6:30 AM : sveglia.
 
La giornata è bellissima, verremo travolti da torrenti in piena, ma almeno
il nostro cuore sarà colmo della gioia che solo i caldi raggi del sole ti
sanno dare.
 
Percorriamo i primi chilometri di strada asfaltata fino all'inizio della
"track" vera e propria, poche centinaia di metri a nord della deviazione per
le spiaggie di Cape Tribulation.
Devo dire che mi aspettavo un benvenuto più caloroso ed, invece, l'asfalto
semplicemente finisce e un cartello artigianale scritto con i trasferelli
annuncia "Bloomfield River crossing 32 km", scendo a bloccare i mozzi,
ingrano il 4WD e si parte.
 
L'inizio del percorso è molto suggestivo, la foresta è fitta ed il fatto di
percorrerla su una strada angusta e fangosa ne aumenta assai il fascino.
Il primo torrente da guadare dissiperà tutti i nostri dubbi sulle condizioni
della strada : ci sono appena 30 cm d'acqua che il nostro Land Cruiser
digerisce come fosse una pozzanghera.
 
Dal punto di vista meramente stradale, la prima metà del tracciato fino al
Bloomfield river ha sostanzialmente due protagonisti : le buche e le salite.
 
Play Station ! Bisognerebbe farci un gioco ! . per evitare tutte le buche
che si incontrano lo sguardo rimane fisso sulla strada, volante ben
impugnato e riflessi allenati. La pista ormai asciutta e le buche ancora
piene d'acqua ammantano il tutto di un chè di leopardato che, se da un lato
aiuta a segnalare la presenza delle buche, dall'altro impedisce di valutarne
la profondità.
 
Caution : steep grades !  Delle salite della Bloomfield Track avevo già
letto alcune cose tra le quali il resoconto di un gruppo di ciclisti che, in
sella alle loro mountain bike, avevano percorso tutta la pista in circa tre
giorni.
Quando arrivo di fronte al prima delle salite comincio a pensare che quei
ciclisti non fossero di questo pianeta o che, comunque, avessero assunto
qualche sostanza vietatissima e, probabilmente, altrettanto piacevole.  ad
ogni modo ci troviamo davanti ad una serie di arrampicate, lunghe alcune
centinaia di metri ciascuna, tali per cui il nostro forzuto mezzo stenta a
tenere la prima. Alcune di queste salite sono pavimentate in cemento cosa
che consente una buona percorribilità anche con fondo bagnato evitando, in
questo modo, pericolosi pattinamenti "laterali" verso l'incerto ciglio della
strada.
Si sale molto rapidamente e si percepiscono distintamente i cambiamenti che
la quota comporta sulla vegetazione che ci circonda. Il contorno da serra
tropicale, cui ci eravamo abituati, cede il passo ad una vegetazione più
rada che, complice la terra fattasi rossa come un campo da tennis, fa
germogliare una sensazione di "africa" che diventerà vigorosa più avanti nel
viaggio.
 
Abbiamo perso di vista il mare già da parecchio tempo e, quando ci appare l'
estuario del Bloomfield, ci sembra di vedere terra dopo aver navigato in un
mare di alberi. La vista, dall'alto della pista, è davvero molto bella;
purtroppo vedere il Bloomfield significa essere ormai prossimi alla
conclusione della parte più caratteristica del percorso.
L'attraversamento del fiume costituiva, fino a pochi anni fa, la maggiore
incognita del percorso dato che , in assenza del pontile recentemente
costruito, si era totalmente in balia dell'umore del corso d'acqua. All'
epoca del nostro attraversamento le sponde erano separate da circa 50 metri
di acqua in lunghezza e  circa un metro in profondità  : ruote lente sul
pontile e fugace pensiero a come sarebbe andata senza la struttura che ci
sostiene.
 
Sulla sponda settentrionale un breve deviazione porta alle cascate del
Bloomfield. Le acque saltano da un terrazzo a circa 40 m ed atterrano
fragorosamente nel sottostante fiume creando un quadro molto spettacolare.
La sosta è molto piacevole ed è un vero ristoro per la mente che ora può
bearsi nella contemplazione delle acque dopo essersi a lungo  concentrata
sui sassi e sulle buche della pista.
 
Attigua alle cascate è la comunità aborigena di Wujal Wujal. Sulla
condizione degli aborigeni in Australia si è detto molto e lo stato degli
abitanti che popolano questo villaggio ne è, se ce ne fosse bisogno,  una
conferma.  Ancora una volta, purtroppo, ammettendo che sia eticamente
accettabile fare una classifica dei razzismi, ancora un volta, dicevo, ci si
rende conto che il razzismo che parla inglese è forse il peggiore, alla
faccia della cosiddetta "buona" amministrazione coloniale britannica e di
chi si vanta di avere una delle democrazie più antiche del pianeta.
 
Superato Wujal Wujal e l'attiguo centro (bianco) di Ayton la strada diventa
una classica pista in ghiaia da percorrere a non meno di 70/80 km/h pena
sorbirsi il vibromassaggio della "tole ondulée" fenomeno onnipresente sulle
piste di tutto il mondo e  che non risparmia neanche gli sterrati
australiani.
La "tole" è creata, pare, dall'azione delle sospensioni dei veicoli sul
fondo stradale e si presenta come una successione di ondulazioni
perpendicolari al senso di marcia e la cui geometria ricorda molto da vicino
la lamiera ondulata. Per affrontarla con un certo comfort occorre guidare a
circa 80 km/h in maniera da "volare" sulle ondulazioni.
Dopo pochi chilometri si entra nel Cedar Bay National Park e la vegetazione,
che nel frattempo si era fatta più rada e secca, torna a mostrarsi
lussureggiante e grandiosamente tropicale.
Dopo un percorso piuttosto accidentato si giunge su un altopiano dove il
panorama di apre in maniera spettacolare.
 
Mi sono sempre piaciuti i contrasti. Quegli ossimori che la natura, complice
l'uomo, di piazza di fronte e mettono in imbarazzo il tuo cervello.
E quello che si para davanti agli occhi è notevole : pasciute mucche che
brucano su un prato che pare tirolese, e quasi ti sembra di sentire gli
Jodel, circondate da una quinta tropicale che solo Salgari potrebbe
descrivere.
 
Osserviamo le vacche al pascolo con lo sfondo di foresta e quasi non ci
accorgiamo che sotto un albero, a poca distanza da noi, si godono il fresco
tre canguri.
 
Il canguro si gode il riparo dal sole tropicale e osserva le vacche al
pascolo con lo sfondo di foresta e quasi non si accorge che un ingombrante
turista gli ha puntato addosso il suo bel 210mm appena sfilato dallo zaino.
 
Lo scambio di sguardi è improvviso ed il dialogo prevedibile : salto, click,
atterraggio, click, salto con coda a far da bilanciere e click finale. Ciak
! Buona la prima ! Grazie a tutti per la collaborazione e God bless
Australia !
 
Passato il parco nazionale poche decine di chilometri di pista, priva di
particolari punti di interessa, portano alla congiunzione con la strada
asfaltata che ci trasporterà, placidamente e senza scossoni, dritti a
Cooktown.
Proprio in corrispondenza della giunzione di ergono piuttosto minacciose le
Black Mountain. Il termine "montagne" è, in realtà, piuttosto inadeguato in
quanto trattasi, nella sostanza, di giganteschi mucchi di massi granitici.
Tanto per dare un idea, immaginate di avere un secchio pieno di ghiaia e di
versarlo sul pavimento, sostituite ai vostri sassolini dei blocchi di
granito grandi come un'auto ed otterrete le Black Mountains.
Molti esploratori bianchi morirono nel tentativo di passare le montagne da
parte a parte movendosi tra gli interstizi presenti fra i massi.
 
Arriviamo a Cooktown nel primo pomeriggio e, preso possesso dei nostri
appartamenti all'ottimo Sovereign Hotel, saliamo subito sulla Grassy Hill.
Questa collinetta si erge alle spalle dell'abitato ed è alta appena 160m,
poco più, tanto per dare un'idea della "montagnetta" di meneghina memoria.
Giunti in cima ci sono, ad accogliere il visitatore, 360° di meraviglia per
gli occhi; uno dei panorami più vasti e magnifici, selvaggi e magnifici,
suggestivi e magnifici che si possano vedere.  Il lungo serpentone azzurro
del fiume Endeavour si getta placidamente nel mare dei coralli con una foce
amplissima in grado di disegnare infinite sfumature di azzurro,blu e
turchese, tutto incorniciato da chilometri e chilometri di foresta
verdissima a perdita d'occhio.
Cooktown si può definire come il primo insediamento inglese in terra
australiana, fu qui, infatti, che, per ben sei settimane, il capitano James
Cook soggiornò dopo esservi sbarcato nel 1770.  Il termine "sbarcare" è
piuttosto ottimistico in quanto, per l'ennesima volta, l'Endeavour andò a
misurare la sua chiglia contro la barriera corallina costringendo il
capitano a dirigere rapidamente verso terra pena un inglorioso ed
inevitabile naufragio.
Giunto a terra Cook, in compagnia del fidato naturalista Joseph Banks, si
diresse immediatamente su Grassy Hill per cercare di capire meglio dove era
approdato e fu anch'esso stregato dalla bellezza di cio' che gli era apparso
davanti. Banks, più concretamente, mentre il suo compagno si beava del
panorama, cominciò ad esplorare la collina incontrando il primo canguro
della sua vita e regalando al mondo occidentale la prima descrizione scritta
di "Canguro".
Durante i tre viaggi in compagnia di Cook, Banks catalogò, descrisse ed
illustrò magnificamente centinaia e centinaia di nuove specie vegetali ed
animali contribuendo a modificare radicalmente le conoscenze dell'epoca in
materia di flora e fauna.
 
Se è possibile collocare la posa della prima pietra (o del primo asse di
legno) di Cooktown nel 1770, occorrerà attendere più di un secolo allorché,
nel 1873, James Mulligan detto "Venture" scopra i filoni auriferi del
Palmer River scatenando una delle corse all'oro più frenetiche e massicce
della storia umana e contribuendo in maniera determinante allo sviluppo
della città.
Cooktown si sviluppa essenzialmente come porto in quanto le zone di raccolta
del minerale si trovavano, in realtà, nell'entroterra a più di 60 km dalla
città.
 
La corsa aurea fu tanto massiccia quanto breve. La produttività dei filoni
era stata sopravvallutata e già nel 1883 non si estraeva più mezzo grammo d'
oro dalle turbolente acque del Palmer River.
 
Questo fatto, una tragedia per la città dell'epoca, ha contribuito in
maniera assolutamente determinante a regalare, al visitatore di oggi, un
luogo in cui lo spirito coloniale di quei giorni avventurosi è rimasto
intatto. Abitato da appena 6000 anime ( erano 30000 nel periodo d'oro),
raggiungibile solo con strade sterrate, questo sperduto luogo è veramente
carico di suggestioni.

 

Le strade dell'abitato sono larghe, segno di un disegno urbanistico che
guardava lontano e molti edifici storici, quasi tutti restaurati, si
affacciano su di esse mantenendo vivo un sentimento da vera "frontiera".
Molti fra gli edifici storici delle vie centrali erano, e sono tuttora,
alberghi nati per ospitare la folla di avventurieri e cercatori d'oro che
riempivano le strade della Cooktown ottocentesca.
La differenza rispetto al caos turistico di Cairns, non molti chilometri più
a Sud, è enorme. Tutto è molto più "domestico", più "familiare" e certo non
ci manca l'overdose di agenzie viaggi e attrazioni per turisti che rende a
tratti un po' stucchevole il soggiorno nel capoluogo del North Tropical
Queensland.
All'imbrunire vediamo un anziano signore disporre sulla soglia della suo
abitazione una grossa ciotola. Al posto dell'apparizione felina che ci
aspettavamo, ci accorgiamo che è un canguro il destinatario dell'offerta di
cibo.
Piccolo ed indimenticabile quadretto di vita australiana nel Queensland
tropicale.
 
 
Molte storie umane, drammatiche ed eroiche, hanno visto il loro intenso
svolgersi sulla terra e sulle acque di Cooktown, il luogo che le raccoglie
tutte e che di tutte somma le intensità è il solitario cimitero situato a
poca distanza dall'abitato.
 
"1907 - La republique francaise aux marins de l'Allier". Nel 1885 il
vascello Allier diretto alle colonie francesi della Nuova Caledonia si ferma
a Java per rifornimenti. Alcuni giorni dopo la partenza dal porto
indonesiano (allora Olandese) un'epidemia di febbre gialla, contratta
durante la sosta, dilaga a bordo costringendo l'imbarcazione ad un approdo
forzato in cerca di assistenza medica.
All'arrivo a Cooktown viene predisposta, su una delle spiagge,  una sorta di
artigianale stazione di quarantena dove i francesi saranno costretti per
oltre due mesi.
I morti sono molti e la maggior parte viene seppellita semplicemente sulla
spiaggia, i più in fosse comuni. Alla fine i sopravvissuti partiranno da
Cooktown riuscendo a raggiungere la destinazione finale.
Nel 1907 un tifone sconvolge le coste restituendo cinque dei corpi sepolti
sulla spiaggia durante la quarantena. La repubblica francese può ora
ricordare e celebrare i suoi morti con una stele nel cimitero di Cooktown.
 
Nel 1881 il capitano R.F. Watson lascia la sua residenza su Lizard Island,
pochi chilometri al largo di Cooktown, per intraprendere, come spesso gli
capitava, una battuta di pesca nel Mar dei Coralli. Sono anni, quelli, in
cui il rapporto con gli indigeni si è ormai compromesso; tuttavia Mr.Watson
ritiene di aver lasciato la famiglia e la servitù cinese in un luogo sicuro,
l'isola infatti è quasi disabitata ed abbastanza lontana dai tumulti che
avvengono sulla costa.
Il destino dirà a Mary Watson, nata in Cornovaglia a Truro ed emigrata nel
1870,  quanto il marito si sbagliava.
Quando gli aborigeni attaccano la casa, uccidendo buona parte della servitù,
Mary Watson, insieme al figlio Ferrier ed all'unico servo cinese superstite,
si imbarca a bordo di una tinozza di ferro nel tentativo disperato di
raggiungere il marito.
La tinozza, impossibile da controllare, farà naufragio sull'isola n°1 e
successivamente sull'isola n°5 del gruppo delle Howick : un atollo corallino
di paradisiaca bellezza e drammatica aridità.
Fu la sete e non la brutalità degli aborigeni a prendere le loro vite nel
giro di pochi giorni.
Mary Watson lasciò un intenso diario degli ultimi momenti della sua vita
concludendolo con queste frasi :
"Ancora vivi. Ferrier sembra stare meglio.mi sento molto debole.penso che
oggi possa piovere, le nuvole sono assai cariche ed il vento non è molto
forte.
Non Piove.
Ferrier pare più vivace.continuo a non sentirmi bene.non si vedono barche di
nessun tipo.
Niente acqua.
Moriamo di sete.".
Lizard Island è oggi sede del più esclusivo resort del Queensland Tropicale
mentre il corpo di Mary Watson e del figlio riposano nel cimitero di
Cooktown.
 
1874. Cooktown sta diventando una città e le migliaia di anime che la
popolano hanno ormai bisogno di una guida.
Nato a Oxford, Francio Tripp, si imbarca da un porto inglese per raggiungere
il suo gregge.
I chilometri sono decine di migliaia, ma la fede è incrollabile e la meta è
raggiunta.
Il reverendo Tripp, dopo aver attraversato il mondo, in uno dei viaggi più
lunghi e avventurosi per l'epoca, va incontro, il 24 Maggio, al suo destino
morendo appena dieci giorni dopo lo sbarco a Cooktown.
Lui, che doveva per primo guidare questo lontano gregge in terra d'
Australia, diventa il protagonista del primo funerale ufficialmente
registrato a Cooktown e sua è la tomba più vecchia del cimitero cittadino.
 
In un angolo del cimitero, al limitare di una zona boscosa, è situata la
tomba che narra la storia più misteriosa ed insieme commovente delle tante
che qui è possibile raccontare.
Nel 1852 una nave tedesca naufraga sulle coste a Sud di Cooktown.
Attorno al 1880 alcuni cercatori d'oro impegnati nella regione del Normanby,
testimoniarono a più riprese di aver visto, insieme ad un gruppo di
aborigeni, una donna bianca dai chiari lineamenti europei e dall'età
prossima ai trent'anni.
Gli avvistamenti si ripeterono più volte fino a quando Willian Cowan, nel
1888, la catturò attirandola con la promessa di cibo.
La donna fu lavata, vestita e messa su un cavallo per raggiungere la nuova
casa che le era stata destinata a Cooktown.
Gli aborigeni attaccarono il convoglio per riprendersi la loro compagna.
Fu battaglia.
Il cavallo si imbizzarrì e la donna cadde.
La Normanby Woman, come venne chiamata e come ora è ricordata, morì il 30
Agosto 1887 presso l'ospedale cittadino per gli effetti delle cadute, ma,
soprattutto, per la depressione ed il rifiuto di una civilizzazione che le
era stata imposta. Respinse sempre, infatti, il cibo e tutte  le cure che le
venivano offerti.
Chi fu davvero la Normanby Woman è un mistero. ,
Che si trattasse di una aborigena dalla pelle chiara o, effettivamente di
una sopravvissuta al naufragio del 1852, non cambia la sostanza drammatica e
simbolica dell'accaduto. Un piccolo fatto, rapportato alla tragedia
aborigena, ma emblematico di come e quanto, ancora una volta, sia stato
sbagliato il nostro porsi occidentale di fronte alle culture "altre";
portatori di una presunta civiltà, più spesso protagonisti di inumanità cui,
un giorno, davanti a qualcuno, dovremo rispondere.
 
La notte scorre rapida complice l'alcol di un'ennesima sorprendente
bottiglia di vino australiano.
Un ultimo bagno nella splendida e solitaria spiaggia di Finch Bay e poi
lasciamo a malincuore questo posto così affascinante.
La ghiaia diventa presto protagonista su quella che è la principale strada
di accesso a Cooktown e, sulla mappa, è segnata con la stessa importanza che
da noi viene riservata, per fare un esempio, all'autostrada del sole.
Il sole c'e', l'asfalto un po' meno.
 
Passato il gigantesco cartello che indica lo stato di percorribilità delle
strade fino allo stretto di Torres, si percorre, per una sessantina di
chilometri,una pista sterrata tutto sommato confortevole.
Le occasioni di incrociare auto nella direzione opposta sono, anche su
questa che è una delle strade principali della penisola, abbastanza scarse.
Raggiunto il villaggio di Lakeland, ne approfittiamo per fare un po' di
gasolio ed acquistare un po' di frutta.
Da Lakeland torna l'asfalto, ma bisogna attendere oltre cento chilometri per
approdare al successivo insediamento di Mt. Carbine.
La strada, in questo tratto, raggiunge la massima distanza dal mare ed è
assolutamente impressionante notare il cambiamento di paesaggio.
A soli 50 km in linea d'aria dalla foresta pluviale del Daintree N.P. ci si
trova ad attraversare un territorio aridissimo.
Le suggestioni africane, cui accennavo nelle prime parti del racconto,
diventano qui decisamente vigorose e non ci sarebbe da stupirsi nel vedere
improvvisamente sbucare una giraffa da questa distesa di alberi secchi che
in Namibia sarebbero Mopani e qui la loro versione australiana.
Le uniche apparizioni animali, invece, sono ansiosi rapaci che volteggiano
su ciò che resta dei canguri e magrissime mucche tristemente consapevoli che
la stagione secca durerà almeno ancora un altro mese.
A 30 km da Lakeland si attraversa il celebre Palmer River, l'epicentro della
corsa all'oro del 1870.
Essendo mezzogiorno le nostre ricerche si orientano più su qualcosa di
commestibile che non sul minerale aureo. Optiamo (si fa per dire visto che
per i prossimi 85 km la nostra fedele mappa Sunmap non indica punti di
ristoro) per la Palmer River Roadhouse. Il locale è ancora quello originale
che rifocillava gli indomiti cercatori e conserva un piccolo museo con
oggetti e strumenti originali del tempo.
 
Archiviato, non senza fatica, il solito gigantesco hamburger, riprendiamo la
strada raggiungendo, dopo 60 km, il Bob's Lookout.
E' incredibile, ma, da queste parti, quando si ha la possibilità di
osservare il territorio da un punto di vista sopraelevato, ciò che appare è,
quasi invariabilmente, di una bellezza disarmante.
L'aria tersa svela chilometri di rilievi accavallarsi e confondersi gli uni
sugli altri. E' il Great Dividing Range che fermando le nuvole provenienti
da Est, consente alla foresta pluviale di vivere e qui, ad occidente,
presenta il suo volto arido.
 
Passata Mt.Carbine si arriva al villaggio di Mt.Molloy.
 
Nell'isolato cimitero cittadino, raggiungibile con una deviazione di qualche
chilometro su strada sterrata,  è sepolto James Mulligan, lo scopritore dei
filoni auriferi.
L'iscrizione sulla lapide recita: "James Venture Mulligan 1837-1907. Nato a
Rothfriland, contea di Down. Emigrato nel 1860, scoprì l'oro nel Palmer
River nel 1873 e nel Hodgkinson River nel 1875 conducendo alla fondazione di
Cairns e Port Douglas. Estrasse il rame a Mt.Molloy nel 1809 e si sposò nel
1903. Comprò il Mount Molloy Hotel nel 1905 e mori il 24 Agosto 1907 per le
ferite ricevute nel tentativo di sedare una rissa nel suo locale. Non ebbe
figli."
Il 24 Agosto 1907 muore, dimenticato da tutti,  uno dei massimi protagonisti
della storia coloniale del Queensland  e chissà per quale strano suo disegno
il destino ci ha portato qui, oggi, 24 Agosto 2002, precisamente 95 anni
dopo la sua morte,  a stare di fronte a questa lapide solitaria, in un
cimitero quasi dimenticato, in mezzo al nulla, dall'altra parte del mondo.
 
Da Mt. Molloy il panorama si fa più dolce e l'agricoltura prenderà, in un
continuo crescendo,  il ruolo di protagonista del paesaggio.
Te, caffè, ma anche frutteti e canna da zucchero scorrono veloci dai
finestrini.
Attraversiamo veloce la linda Mareeba e l'affollata Kuranda per fermarci al
belvedere Henry Ross da cui si domina la costa e la città di Cairns.
La vista, e non potevano esserci dubbi, è magnifica, ma tornare a scorgere
le case di Cairns significa la fine di questo viaggio nel viaggio.
Un viaggio nella natura cosi incredibile di questa terra, attraverso l'
epopea dei cercatori d'oro ed il dramma degli aborigeni.
Un piccola esperienza in un grande paese, un quadro insieme forte e delicato
che, per dirla alla Bettinelli, troverà sicuramente un posto speciale nella
pinacoteca della nostra memoria.

 

CB 2002

 

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